"Becoming Led Zeppelin", maturo per il suono
%3Aquality(70)%3Afocal(2204x2541%3A2214x2551)%2Fcloudfront-eu-central-1.images.arcpublishing.com%2Fliberation%2F63P65HF5YJBP5DVXBIFWFJV4YY.jpg&w=1920&q=100)
A metà del film, il chitarrista dei Led Zeppelin Jimmy Page racconta il loro primo tour americano nel 1968. Alla prima data a Denver, Colorado, la band si è ritrovata a suonare in un hangar per aerei mezzo vuoto. "Sono rimasto sbalordito", ricorda. Allora ho detto: " Incontriamoci". Come se stessimo suonando in un piccolo club. Non preoccupiamoci se ci sono persone oppure no. Giochiamo per noi stessi e vediamo come va."
Il documentario di Allison McGourty e Bernard MacMahon funziona in modo simile: prende il gruppo più superlativo-anfigorico di tutti i tempi, simbolo di tutti gli eccessi e le illusioni del rock, depositario dell'equazione "urla di Castafiore buttate da una finestra" + "mille megatoni di metallo fuso", e lo libera da tutti i suoi vapori mitologici per concentrarsi sull'essenziale: il suono. Nella spazzatura il racconto agiografico e volutamente revisionista che in genere è la rovina dei documentari musicali ("Ho capito subito che avevamo qualcosa di unico", "Ho capito subito che era la fine del gruppo", "sono dei geni, sì"). In primo piano, l'ampiezza e l'audacia sonora, la stregoneria che legava questi quattro ragazzi con personalità troppo forti, con una sete troppo insaziabile per poter coabitare con chiunque e che consentiva loro di costruire cattedrali con grandi getti di magma.
Potremmo sapere tutto, aver visto tutto,
Libération